Inizio di qualcosa? (Intervista)


Avevamo deciso di vederci per le 18 in una birreria tranquilla, nel mezzo del caos di sabato pomeriggio. Iniziava a far freddo ma io tremavo non so se per il vento ghiacciato o per l’emozione della mia prima intervista.

Avevo scelto una birreria per dare un senso di calore, di familiarità, a me ma soprattutto al ragazzo che non avevo mai visto ma al quale avrei dovuto porgere diverse domande a raffica. Riconobbi l’insegna da lontano e sfilai con attenzione il cellulare dalla mia tasca per controllare l’orario. Odiavo essere in ritardo e il display segnava le 17:53.

Infilai le mani nelle tasche del cappotto. Decisi di entrare e prendere un tavolo nel locale popolato solo da bambini e da qualcun altro che stava facendo aperitivo. Il calore all’interno mi fece emettere un sospiro di sollievo e il colore caldo del legno dava un senso di casa. Appena entrata, dal bancone sulla destra si affacciò una ragazza e le feci segno verso il tavolo infondo alla sala, per due.

Presi posto su un tavolo di legno leggermente in disparte, lontana dai fastidiosi bimbi. Sfilai il cappotto nero, poggiai la borsa su uno sgabello rubato ad un bambino e presi il quaderno con Harry Potter insieme ad una penna sottile.

Guardai il display impaziente. 17:56.

Che si fosse perso? Dopotutto era di Genova …

L’arpa birmana posizionata sulla porta emise il suo suono melodioso quando un ragazzo dai capelli scuri con gli occhiali entrò. Si guardò intorno guardingo e scrutatore ed io alzai una mano, riconoscendo il mio intervistato.

Dopo un attimo mi riconobbe e si avvicinò a me, piuttosto imbarazzato. Mi alzai per salutarlo con aria tranquilla.

Sorrisi mostrando nonchalance. «Ciao» gli dissi allungandogli la mano. Lui la strinse a sua volta guardando un po’ per terra un po’ sul mio volto.

«Temevo ti fossi perso» gli feci sedendomi. Lui fece altrettanto di fronte a me.

«No, il navigatore del cellulare salva la vita» rispose ancora in imbarazzo.

«Ordiniamo e cominciamo?»
non
Anto Rabbia annuì ed chiamai la cameriera.

Quando ci portarono le birre, alzai il boccale leggermente, a mo’ di “salute”,  e bevvi un piacevolissimo sorso; il doppio malto mi inondò le papille gustative.

Presi la penna ed iniziai a giocarci mentre lo guardavo bere un secondo sorso della sua birra rossa.

«Quando vuoi, Nemesis» mi disse abbreviando il mio nome.

Sorrisi, aprii la prima pagina del quaderno e scrissi il alto a destra in suo nome.

«Perché il Calamaio Matto?» iniziai appuntando la domanda con affianco il numero uno.

Lui si schiarì la voce e guardò la sua birra. «Perché volevo un nickname un po' particolare, che potesse esprimere qualcosa di me, non una semplice accozzaglia di lettere. Quindi ho messo

insieme ciò che amo, ciò per cui vivo, ciò che mi scorre nelle vene, e la pazzia, tema a me molto caro».

Annuii e scrissi in maiuscolo “pazzia”.

«Ormai al giorno d'oggi è facile dire "tu sei pazzo", come una cosa scontata e banale; per me la pazzia invece è un bellissimo modus vivendi, è ciò che dà una marcia in più alla monotonia della vita, alla frenesia della massa, quello che dà il via al turbinio nel mio cervello» rispose lui poi, tutto d’un fiato.

«Filosofeggi quasi» commentai mentre scrivevo appunti della sua esauriente risposta.

«Com'è uscita fuori la tua storia?»

«Sinceramente non so bene come rispondere a questa domanda, perché è stato del tutto casuale. Scrivevo cose, e leggevo altre cose su Wattpad. E poi a un certo punto mi sono dato uno spintone e ho pubblicato un primo pezzettino di me, e, da allora, ogni tanto, seguendo il fiume del caos, sta iniziando a formarsi qualcosa. È l'inizio di qualcosa, anche il titolo è nato a casaccio, ero agli inizi, non sapevo se ciò che scaturiva dalla mia penna fosse spazzatura o...qualcosa!»

Risi appuntando il suo “aut aut” molto kierkegaardiano. «O tutto o niente. Inizio di qualcosa o inizio di niente, ecco il tuo titolo. Bianco e nero. Rosso e blu. Dentro o fuori. Detto così sembra che non ci siano sfumature nei tuoi lavori, eppure ne sono tante. Ma dimmi, il tuo stile com’è strutturato?»

«Sono ripetitivo se dico che non so come rispondere?»

Scossi la testa con un sorriso.

«Non ho uno stile fisso. Ho iniziato con una prosa poetica, con frasi fluenti e spezzate insieme, aborrendo la poesia nel vero senso della parola. Poi mi sono visto inciampare nella definizione di poeta che tutti mi davano. Quindi non posso parlare di stile o di struttura, nella mia mente quando scrivo succedono cose strane, non si sa mai come sarà il prodotto finale. Sorpresa»

«Perché scrivi?» gli chiesi guardandolo negli occhi e fermando per un secondo la mia mano che svolazzava da un lato all’altro del quaderno per scrivere.

«Perché è l'unica cosa che so fare più o meno bene» mi rispose ridendo. «Perché è ciò che davvero mi tiene in vita. Perché quando scrivo divento un altro, qualcosa di felice, qualcosa che sa creare mondi e emozioni del tutto nuovi. Scrivo perché scrivere mi fa sentire bene, realizzato. Lo faccio per me, non per gli altri. Scrivo perché non so comunicare i miei pensieri in altra maniera»

«Interessante visione. Piuttosto cupa, azzarderei, ma molto … romantica». «Da quando scrivi?»

 «Da quando ho imparato a farlo. A 5 anni ho capito cosa significassero quei segni strani, e mi sono semplicemente innamorato di questo mondo di ghirigori»

«E poi davvero ti chiedi perché la gente ti da del poeta?» lo interruppi ridendo.

«Ho iniziato scrivendo un giornalino in doppia copia a cadenza settimanale, con tanto di disegni, in cui parlavo degli importantissimi fatti accaduti in casa mia. Poi ho iniziato con lo scrivere  filastrocche, racconti brevi, storie per bambini, storie sui miei giocattoli. In seguito, ho abbandonato la scrittura per alcuni anni, è solo grazie a un mio amico se oggi sono qui a parlare di ciò che mi rende felice. Mi ha esortato a provarci, aveva visto del buono in me, gli ho dato retta e da allora deliro sui fogli di carta» concluse lui con la testa per aria, i ricordi che gli danzavano negli occhi.

«Ci sono romanzi e autori/autrici ispiratori/ispiratrici nel tuo percorso?»

«Me stesso. Si, sembra una risposa narcisista, egoistica, ma è la pura verità. Oltre alla scrittura, amo moltissimo anche la lettura, ho letto qualsiasi cosa, ma non posso dire di ispirarmi veramente a qualcuno. E ti spiego anche il perché:tutti hanno un proprio modo di essere, di vivere, di scrivere. Quindi, l'unica persona a cui mi ispiro veramente sono io» affermò con decisione negli occhi.

«Signor poeta mi dica la cosa che le piace di più e di meno della tua storia» annunciai bevendo un sorso.

«La cosa che mi piace di più della mia storia è il fatto di mettermi completamente a nudo tra le frasi. La cosa che mi piace di meno della mia storia è il fatto di sapermi completamente a nudo tra le frasi»

«Credo che questa frase la riscriverò esattamente come l’hai pronunciata, Anto. Penso sia perfetta così» gli dissi mentre trascrivevo le sue parole così significative.

«Come lavori prima di pubblicare una storia?»

«Pubblicare non è il mio fine ultimo, è un aspetto secondario e non fondamentale. Quando sento di dover scrivere, butto giù. Rileggo, e nemmeno sempre, non correggo nulla, e se mi piace come è venuto lo pubblico. Poi me ne dimentico, e quando vedo quei commenti, quei riscontri positivi, solo allora mi rendo conto di aver fatto bene»

«Pubblicheresti i tuoi lavori con una CE?»

«Vedermi nel cartaceo, sapere di avere qualcosa di mio in una libreria, mi fa tremare il cuore. Come ho già detto, non punto alla pubblicazione;  quello che per me conta davvero è la scrittura in sé ma sarebbe un sogno finalmente realizzato sfogliare il mio libro. Prima o poi troverò quel coraggio per spedire la mia pazzia su carta da qualche parte» concluse con un sorriso sognate.

«Progetti per il futuro?» conclusi alzando la testa dal foglio e bevendo l’ultima sorsata della mia birra.

«Continuare a sanguinare sui fogli»

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